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"FIORI DI MELO"
Oggi è la tua festa, papà
e fioriscono i meli lungo l’argine del fiume.
Passeggio in compagnia, non sono più sola,
e fra i loro rami resta
qualche barbaglio d’aurora.
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Non piange più il salice, ora sorride
è marzo eppure sembra un dì quieto d’aprile.
Uno scampanello, un riso
un bacio, un t’amo, un soffio, un sogno:
il polline sull’ape è fioca stella in pieno giorno.
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Stormiscono sereni i meli in un mosaico
e luccica argentina la corrente gorgogliando.
Ad ogni passo vola un petalo, neve lieve sulle dita,
e la risata, sai, del pioppo
è quella della me bambina.
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Oggi è la tua festa, papà,
e adesso un altro albero mi fa da nido.
È dolce, ha gli occhi verdi, e fra le braccia sue
ritrovo la certezza che ho già perduto delle tue.
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Le sue mani sono lievi, le radici immote,
e le sue fronde sono tenui, premurose
sulle gote.
Ha un tronco saldo e caldo,la sua voce è come il vento,
mi culla e mi solleva, piccolina, e non rimembro
più paura, più timore, più spavento, più tremore:
la corteccia (o pelle?) sua ha lo stesso mio colore.
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Adesso è lui a baciarmi sulla fronte, sai, papà?
E le sue labbra sui miei palmi hanno la dolcezza
dei fior di melo sfatti dentro questa brezza.
È giovane, ma forte, dormo cheta sul suo petto:
mi sussurra “ninnananna” mentre m’accarezza.
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Papà, adesso ho una casa,
finalmente, anch’io, nel mondo,
ho un uomo che mi dice “ciao, tesoro” quando torno.
Ma lui non è te, e tu non sei lui
e un babbo che m’abbraccia non l’avrò nei giorni bui.
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Il tuo tronco adesso è secco, le radici sono frali
non avrai mai più una chioma per tua figlia ai temporali.
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Ma oggi il sole splende,
e l’erba lunga è un mosaico sfasato:
ogni ramo è l’altalena di un defunto amato.
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L’ho giurato a questo fiore: la mia bimba avrà un papà
e sono tanto fortunata da sapere chi sarà.
Ma questo vuoto non si colma, e tu mi manchi in ogni fiore:
perché anche il melo sboccia
nell’assenza del tuo amore.
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"PLEIADI"
Tramontate la Luna e le stelle, or ora:
fiorite scantonano ombre l’angolo della via
vuota.
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S’invola, assonnato, un colombo
oltre il margine del bosco:
un tremolar di vento, che non più conosco,
sfiora le mie cosce e spare via, veloce.
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Pispiglia
l’upupa sul ramo più alto dell’olmo:
ogni suono è bordato d’argento.
Il mio dito, sul muro, è cometa,
ma non brilla, non fulge: non questa sera.
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Dell’Orsa non resta che il fatuo bagliore
riflesso sui vetri dell’alba:
il mio sguardo è un uccello
notturno.
Non s’ode più neanche un
sussurro.
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Tutto dorme, è un notturno respiro:
dorme il pioppo, il bruco, il bambino.
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Oh…
Ma non posa, non tace, il mio cuore:
si ritorce nel vuoto del letto.
Occhi chiusi, ma sola: nel petto
ho un’arpa in frantumi che stride.
Svanisce ogni lucore della notte:
ed è bufera dentro questo letto, che mi era nido.
Le coperte, il lenzuolo, il cuscino
sono onde e marosi le lotte
verso il mattino.
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Vacillo, mi schianto, poi taccio:
è un “t’ama o non t’ama?”;
è il nero.
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Tramontate la Luna e le Pleiadi, or ora:
anche l’erba s’inchina all’Aurora.
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Di tante fiorite promesse,
di tanti germogli di voce
mi restano braci morenti
e parole.
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Stremato è il nocchiere al ritorno:
mentre dormi, io, sola, non dormo.
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"ATTIMI"
Sedie vuote, un corridoio spento
ai passi romiti di qualche
sparuto passante.
Al vetro barbagli di lampada densa,
viscosa di luce
che spenta s’è mill’anni
addietro.
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Bracciali di rondini i polpastrelli al polso
volano esuli alla mia carne ansiosa:
e quelle mani, che sfiorano ancora, ancora…
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Un pargolo sul grembo,
sul mio collo bianco è un uomo,
è un ansimar che freme:
non più basta, non mi muovo.
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Metamorfosi congiunta, tenerezza sfiorita in
passione
e tutto è così lento, è così dolce
tentazione.
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In alto, in alto,
in basso: stringo tutto, stringo nulla
tutto tace, piano scende
nuca, collo, spalla, seno…
-
Amore mio che resti, amore mio che sfiori...
Un deglutire soffocato, un reclinato stel di fiori.
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Si schiudono le palpebre e la coscia trema
è uno splendere confuso, come di candela.
Un brivido che vola sul torrente della schiena,
un erotismo lieve, poi vorace: non è sera... non…
-
Oh clavicola sottile, inarcata, tesa, nuda,
accogli quella bocca che non sa restare
muta.
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MARGHERITA SASSOLI