"Il saluto della pietà/El saludo de piedad"
(Presentazione della Prof.ssa Rosa Rempiccia)
Questa poesia di Francesca Lo Bue corre sulla polarità buio-luce, notte-alba, aridità-genuinità.
Vediamo infatti che i vv. 1-18 sono dominati da un orizzonte cupo. Abbiamo gemito d'assenza, pensiero fragile, pianto, ira, notte, mani annerite, nerume di radici.
Poi, come un bagliore, la ripresa. Nei vv. finali, 19-27, si fa giorno, luce, splendore. Abbiamo colombe salutifere, lucore, rugiada, sole, dolcezza...
Il passaggio è mediato da una mano invisibile che accompagna l'ipotetico interlocutore su un mare rosso di fauci (forse una reminiscenza biblica?). Il punto di approdo è però sì un nido accogliente, ma labile, fatto di cristallo, dunque come il pensiero fragile richiamato al v. 3, a sua volta esito del mutismo di un gemito che non trova espressione all'esterno e deve ripiegarsi verso la terra, indicata come cuore di polvere. Questo deserto emotivo - per cui si può trovare un parziale riscatto solo nel rapporto viscerale con la natura - è riproposto nella metà positiva e luminosa della poesia, probabilmente richiamato dal deserto azzurro del terzultimo verso. Abbiamo ancora la secchezza, l'aridità; ma questa tirannia del vuoto è in parte attenuata dalla bellezza del sole, dalla delicatezza dell'azzurro.
Siamo quindi di fronte a un testo che presenta un abile gioco di rimandi tesi a costruire una precisa architettura di sensi e sentimenti. Di essi il significato forse principale è ricordare al lettore che la realtà non è dipinta solo di nero, ma rimane un'esplosione di colori, vita, luce.
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"Il saluto della pietà"
C’è un gemito d’assenza,
è un gemito senza spazio
che s’attenua nel corpo e si fa pensiero fragile.
Arriva al cuore di polvere,
arriva a lei, la terra antica,
che chiama e accenna.
È un sussulto che nasce dalla terra,
lava il pianto e l’ira turpe.
Lo porto dentro, soldato reietto e tenace!
Distrugge il giardino delle frecce del sole,
abbaia come cane nella notte,
assale con cognizioni silenziose e respiro trafelato,
vuole un ruolo brillante di corone e sorrisi.
Passerai il mare,
rosso di fauci e di mani annerite,
di piatti con cadaveri fraterni.
Che non vi sia tempesta nera,
brulicare di tafani e nerume di radici aggrovigliate.
Ti porterò a un nido di cristallo
dove riposano colombe salutifere
nel lucore di alberi argentati.
Che i nomi dei canti scorrano,
che l’anno sia irrigato di rugiada
e la superficie del suolo accarezzata dal sole.
Dolcezza di deserto azzurro,
ti porto saluti di pietà
da un numero delizioso e intero.
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"El saludo de piedad"
Hay un sollozo de ausencia
hay un sollozo sin espacio
que en el cuerpo se atenúa y se hace débil pensamiento
llega al corazón de polvo
llega a ella, la tierra antigua
que llama y señala.
Es un sollozo que nace de las aguas de la tierra
lava el llanto negro y la torpe ira.
¡Lo llevo dentro mísero soldado tenaz!
Destruye el jardín de las flechas del sol,
aúlla como perro en el atardecer,
se abalanza en merodeos silenciosos, en jadeo entrecortado,
quiere un rol brillante y coronas de sonrisas.
Pasarás el mar
rojo de fauces y manos ennegrecidas de desgarraduras
de platos de cadáveres fraternos.
Que no haya tempestad negra,
pulular de tábanos y negrura de raíces anudadas.
Te llevaré a un nido de cristal
donde reposan palomas salutíferas
en el relumbre de árboles plateados.
Que los nombres de los cantos se pronuncien
que el rocío fructifique los años
y la superficie del suelo sea acariciada por el sol.
Dulzor de desierto azul,
te llevo saludos de piedad
de un delicioso número entero.
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Francesca Lo Bue